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“L’essere vivente non si riconosce più, in questo mondo ingabbiato stenta a crescere.
Per tornare a vivere serve il contatto con la natura.”: queste parole di Warner, rilasciate durante un’intervista,
possono costituire un valido punto di partenza per riassumere il momento attuale della sua produzione e della sua ricerca.
Una produzione intensa e, soprattutto, capace di varcare …gli oceani: memorabile, in questo senso, la mostra
nella primavera del 2004 alla The Keseler Collection di Savannah, Georgia, negli Stati Uniti d’America.
Ma soprattutto una ricerca che ha individuato con precisione gli aspetti tecnici del suo fare artistico e si sviluppa
su un doppio binario: la pittura e le installazioni. Non si tratta naturalmente di due momenti diversi o, peggio, antitetici,
ma di due aspetti, due “modi” di proporre quel filo conduttore che lo caratterizza: un discorso intorno all’uomo.
Cominciamo dal primo. La pittura di Warner è colore, lo è nel senso più ovvio e, se si vuole, banale per cui la cifra stilistica
distintiva del pittore è una sorta di orgia, di esplosione di colori. Lo è nel senso che l’intera superficie pittorica è intesa
come un microcosmo che riassume in sé tutti i coloro del macrocosmo. Ma lo è in particolare nel senso che i colori sono
la dimensione dell’anima, individuale, certo, ma anche dell’anima mundi, di quell’imperscrutabile che segna il mistero
entro il quale tutti noi ci aggiriamo.
Proprio per questo le tele di Warner sono apparentemente caotiche, e di caos di colori stiamo parlando.
In realtà le sequenze e gli accostamenti cromatici già sono un segno che l’armonia esiste, ma la non rinuncia
alla figurazione indica come siano i colori a “formare”, a “determinare”, a “delineare” le cose e il reale e non viceversa
e, dunque, come i colori creino la realtà, nella sua totalità e nelle singole entità. Nei colori è riposta l’armonia del mondo
e i colori, nelle loro tonalità, nella loro luce, guidano l’uomo verso questa armonia.
Perduta? Questo dice Warner nella caoticità delle forme, ma anche il suo opposto, perché sotto le forme l’unità è appunto
rappresentata dai colori e dallo loro armonia che spetta all’uomo avere il coraggio di riaccostare, di rifare propria.
E veniamo così al secondo momento cui abbiamo accennato. Le installazioni fanno ormai parte integrante e costante
del bagaglio culturale di Warner. Un manichino in equilibrio su una vasca d’acqua, un prato da cui si innalzano
colonne-alberi avvolti da fili metallici e dall’alto quadri colorati che scendono come motivo e momento di salvezza.
Due tra le ultime installazioni danno il senso e la continuità tra il Warner pittore e la nuova ricerca nel campo
delle installazioni: la metafora come guida e come salvezza. Troppo spesso si indica nella metafora il meccanismo
con cui l’artista avvicina la realtà: meccanismo, appunto, cioè marchingegno retorico che tanto più è bello
e riuscito quanto più meraviglia. No, la metafora svela nuovi rapporti fra le cose, crea nuovi mondi, rivela rapporti nascosti
che la ragione non sa scovare e induce a nuove riflessioni.
O rimane un semplice gioco: a noi, prima ancora che all’artista, la scelta.
Le installazioni di Warner vogliono essere luogo di riflessione in un mondo che è diventato un grande luogo di chiacchiere,
vogliono proporre e riproporre l’uomo come centro e non come oggetto e, infine, vogliono indicare nel rapporto
con la natura il filo mai interrotto, ma che continuamente occorre riannodare, dell’essere uomo contro ogni apparenza. |